(di Massimiliano Naldoni)
Un segmento generale nelle aule della Scuola dello Sport nella sede capitolina dell’Acqua Acetosa e un segmento specifico sulle pedane e nei locali di Umbriaverde ha forgiato nelle ultime settimane un pool di ventotto tra Istruttori e Istruttrici federali di ogni parte d’Italia. La parte generale del corso ha offerto nozioni di psicologia, di anatomia, di scienza dell’alimentazione e di oftalmologia a cura di alcuni e alcune docenti della Scuola dello Sport (Claudio Mantovani, Daniela Sepio, Erminia Ebner, Alessandro Segnalini) e dello stesso responsabile nazionale della formazione Alberto Di Santolo. A Umbriaverde gli aspiranti Istruttori e le aspiranti Istruttrici hanno invece affrontato argomenti specifici di tecnica tiravolistica con i relatori Emanuele Bernasconi e Daniele Lucidi, Umberto Ortolani, Riccardo Rossi e Massimo Tafuri e hanno verificato immediatamente le nuove nozioni apprese con test in campo.
A dirsi letteralmente entusiasta dell’iniziativa è Maurizio D’Amico: ingegnere catanese di Giarre che è approdato al tiro a volo quattro anni fa dopo una serie di esperienze sportive di successo in altri settori e che ha voluto affiancare il ruolo di Istruttore a quello di atleta.
“Nella parte generale – spiega il cinquantasettenne siciliano – interessantissimo si è rivelato l’intervento sulla psicologia perché era davvero molto attinente alla pratica del tiro a volo. È fuori discussione che è ovviamente importante conoscere l’impianto muscolo-scheletrico della persona e le regole per una corretta alimentazione, ma se apprendo come gestire l’ansia e lo stress ho sicuramente acquisito elementi importanti per me come tiratore e come futuro istruttore. I docenti che hanno tenuto il corso, ognuno per le proprie competenze, si sono distinti per la chiarezza degli argomenti trattati e hanno fatto comprendere a noi studenti nozioni di livello avanzato, sia dal punto di vista tecnico che metodologico, senza trascurare di trattare anche l’aspetto correlato all’approccio psicologico e motivazionale. Peraltro con molti dei miei colleghi e delle mie colleghe di corso abbiamo interloquito nella pausa del pranzo e a fine giornata e quindi ci siamo confrontati e ho potuto notare una piena identità di vedute sul giudizio nei confronti del corso e della grande capacità comunicativa dei relatori.”
Esprime un giudizio totalmente positivo sull’efficacia didattica del l’iniziativa anche Sofia Salinaro.
“Dal momento che la mia disciplina è la Fossa Olimpica – spiega l’atleta pugliese – sicuramente mi ha stimolato di più la trattazione di quell’argomento. In quel caso si è trattato in certo modo di ripercorrere una strada che naturalmente avevo già fatto da atleta. Nella prima parte del corso, quella dedicata agli argomenti generali, sono stati particolarmente interessanti gli interventi sull’alimentazione e sull’aspetto psicologico. Nella seconda parte siamo entrati nella parte tecnica in maniera più approfondita per quanto riguarda le discipline olimpiche ed ecco che qui l’ambito più nuovo per me è stato proprio quello dello Skeet. Vivendo quotidianamente a stretto contatto con la realtà del campo di tiro, lo Skeet non era una materia del tutto estranea, ma è stato molto utile e interessante approfondire l’argomento.”
“Mi ha interessato davvero molto – dice ancora Sofia Salinaro – quando in ogni intervento i relatori hanno affrontato l’aspetto psicologico perché io ho vissuto quelle situazioni da allieva nel Settore Giovanile e adesso vedo con chiarezza l’applicazione di quelle stesse metodologie nel mio futuro ruolo di Istruttrice. È sempre importante mettersi nei panni del ragazzo o della ragazza a cui si sta insegnando, sia durante una gara che durante l’allenamento, e quindi in quell’operazione potrò far appello anche alla mia esperienza di allieva aggiungendo tutte le nozioni che questo corso ci ha permesso di approfondire.”
“La parte specifica – prosegue Maurizio D’Amico – anche per me è stata indubbiamente quella più interessante. Io mi sono avvicinato al tiro a volo soltanto da qualche anno, ma mi ci sono buttato letteralmente a capofitto con il mio grande Istruttore Michele Manelli. Io in realtà provengo da altre discipline sportive, il tennistavolo e il judo, ma ho sempre avuto l’abitudine di affrontare lo sport in maniera molto tecnica e non da autodidatta. E la metodologia che è stata illustrata in questo corso è proprio quella che a me è stata impartita nelle altre discipline che ho praticato. E sentire che i miei attuali maestri insegnano la disciplina con quei criteri mi ha gratificato molto perché mi ha confermato che anche il tiro a volo deve essere affrontato con lo stesso metodo.”
Al corso ha partecipato anche il campionissimo del Paratrap Emilio Poli che ha colto l’occasione per una riflessione sulla possibile estensione dell’attività di pedana per il movimento paralimpico del tiro a volo.
“Lo Skeet – precisa l’atleta bresciano – è stata davvero una scoperta, perché non lo pratico ma devo dire che è un bel giochino! A me affascina davvero molto lo Skeet: il problema è che io sparo utilizzando un braccio solo e quindi per quella specialità occorre adottare dei rigorosi accorgimenti di sicurezza. Per le specifiche prerogative della disciplina si dovrà lavorare per capire quanto può essere compatibile con le diverse disabilità. Fra l’altro ne abbiamo parlato in questi ultimi giorni con Arianna e Fabio Nember e abbiamo concordato che alla prossima occasione un paio di tiri allo Skeet li farò anche io. Nel Paratrap adottiamo da sempre le stesse regole dell’attività Issf, quindi sarebbe difficile pensare ad un intervento correttivo sulle modalità di svolgimento dell’attività di Skeet per andare incontro alle esigenze dei paratleti. Secondo me è tutta una questione di allenamento e di abitudine. Nella fase didattica si potrà partire ad esempio da imbracciati per capire bene le traiettorie e gli anticipi: d’altronde quella è proprio la modalità di approccio allo Skeet che viene adottata anche per i neofiti normodotati e quindi potrà essere il modo corretto di immaginare una strada verso il Paraskeet.”
Un giudizio molto positivo è stato espresso anche a proposito dei lavori collettivi che i relatori hanno proposto ai candidati e alle candidate.
“Nei lavori di gruppo – commenta Sofia Salinaro – ci siamo trovati molto bene perché ad esempio io sono stata assegnata ad un gruppo in cui abbiamo condiviso tutti la stessa linea di pensiero: abbiamo lavorato su temi diversi come ad esempio l’impostazione in pedana oppure sulla routine in pedana e sulla respirazione e i relatori del corso ci hanno confermato che quella individuata era la metodologia corretta.”
“Qualche volta – conclude Maurizio D’Amico – tra gli Istruttori si ingenera una sorta di gelosia professionale, ma è un’abitudine da smantellare. Io ho avuto l’opportunità di lavorare con aspiranti atleti nel Progetto Care e ho considerato questi allievi non come un mio patrimonio esclusivo, ma semplicemente come futuri atleti della Federazione. E se uno di loro si fosse rivolto ad un altro Istruttore per un problema e quell’Istruttore fosse stato in grado di risolverlo, sarei stato ben lieto perché in certo modo avrei imparato anche io qualcosa di nuovo da quell’esperienza. In certo modo i relatori ci hanno sollecitato ad abituarci ad essere soddisfatti anche proprio quando qualche altro Istruttore si riveli in grado di dare il suo contributo. E questo è un aspetto che si è rivelato per me cruciale: ancora di più che il lavoro su aspetti tecnici che naturalmente ci ha fornito ugualmente tante nozioni. Le tesine di gruppo, ad esempio, sono state proprio un modo per permetterci di dialogare e infatti per due giorni abbiamo lavorato proficuamente in maniera collettiva. E a conferma dell’utilità di questo processo didattico ho notato che proprio anche i relatori hanno più volte ribadito che l’ascolto delle nostre esperienze e delle nostre situazioni perfino per loro, proprio in occasione del corso, è stato un modo di apprendere.”